lunedì 9 agosto 2021

La natura selvaggia




Che strano vedere il camioncino scout parcheggiato tra le case di Savignano e non tra le tende nel campo scout di Pelos di Cadore. Che strano vedere uno dei miei capi passare per strada con la sua macchina bianca come se fosse un comunissimo giovane universitario. Che strano dormire in un morbidissimo e profumatissimo letto. Che strano poter avere una vita comoda e tanto tempo libero, a volte vuoto.

Sono ancora là. Cioè il mio corpo è qua ma la mia testa è ancora là… forse anche il mio cuore... almeno una parte.

Ora vi spiego.

Sono reduce da un campo scout durato dodici giorni. Quasi due settimane fuori casa. È stato talmente bello da sembrare irreale. Io, la mia squadriglia, il mio reparto. Chiusi in una bolla. Una bolla che una volta tornata al torrido caldo di Savignano è scoppiata.

Una bolla che stavo iniziando a chiamare normalità. Dove all’interno il Covid era solo un lontano ricordo. Dove tutti i problemi e i pensieri della vita reale erano solo briciole di un vecchio pasto. Dove ti sentivi talmente libero che ti sembrava di volare. Dove non c'erano cellulari, computer, o altri apparecchi elettronici. C'eri solo tu, impegnato a sopravvivere con poco; tu, con il grigio della pioggia e il verde dei pini; tu, con gli scarponi da trekking e un enorme zaino sulle spalle.

Se chiudo gli occhi, cosa vedo?

La farmacista mentre mi comunica che il tampone è negativo. Un cappello da scout e una chitarra. Un bacio sulla guancia… inaspettato. La tenda enorme e piena dei nostri sacchi a pelo. Un maglione prestato da una cara amica. Le guance rosse della mia capo squadriglia. Le lacrime di sconforto di quattro ragazze e i sorrisi dei loro compagni, al ritorno da una disavventura tra i boschi. Una piccola tigre peluche e un capo che la alza come simbolo. L’acqua, tantissima dal cielo, pochissima da bere. La mia bocca in fiamme dopo aver mangiato i piccantissimi piatti messicani. Il cielo stellato e noi che lo ammiriamo estasiati. Il fuoco, il cerchio, la musica.

Potrei racchiudere l’esperienza in tre immagini: quella di Pollicino che segna il sentiero ma non lo ritrova più; quella di Indiana Jones alla ricerca del Santo Graal; quella di Tris, protagonista di Divergent, che scopre e conosce gli intrepidi, la sua nuova famiglia.

Mentre scrivo, arriva la sera, qua a Savignano, scorgo il tramonto, lontano, tra i tetti. Penso a Pelos di Cadore, là sarebbe stato bellissimo, con le montagne illuminate dalla tenue luce del sole, e raggiunte dalle nuvole, fievoli, ormai stanche, ma soddisfatte del loro acquazzone giornaliero.

E penso a quanto mi manchi, a quanto queste due settimane lontane da casa siano state significative.

Come mi sento?

Come Pollicino, che con la sua storia ci insegna a rimanere uniti nelle avversità e a superare la paura contando sulle proprie forze. C’è sempre un modo di vincere il male, usando l’astuzia piuttosto che i muscoli.

Come Indiana Jones, che va alla ricerca del Santo Graal, la coppa dell’Ultima Cena di Gesù, ma insieme ricerca anche il senso della vita.

Come Tris, che crescendo scopre dentro di sé una forza nuova. Improvvisamente non è più la timida ragazza, piena di insicurezza e di paure, ma una ragazza pronta a mettersi in gioco e a mettere i suoi talenti al servizio degli altri. Non è più una lieve brezza, ma un vento impetuoso. Tutto travolge con il suo entusiasmo.

Estote parati.

Sofia

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